lunedì 31 dicembre 2012

Paola Basile ed il suo libro " Irene non lo sa" quando l'amicizia diventa salvifica e terapeutica

"Irene non  lo sa" di Paola Basile

Il mondo è lì, fuori ad accogliere chi è disposto a protendere il proprio spirito alla vita. A quel sole che irradia i propri raggi nel cuore di coloro che nutrono ancora la speranza di un futuro migliore che va oltre quelle aspettative molto spesso fallite e generatrici di amarezze, dolori e incertezze.
Ma tutto questo, Irene non lo sa. O almeno, fin quando non scopre nell’amicizia e nella condivisione gli strumenti vincenti che la condurranno al di fuori di quel microcosmo in cui si era rintanata. La scrittrice Paola Basile, autrice del suo secondo libro, Irene non lo sa, corredato dall’autorevole  prefazione di Dacia Maraini ed edito da Spazio Creativo Edizioni, eleva nel suo lavoro, quale sentimento principe , quell’amicizia autentica e salvifica. Quell’amicizia che moltiplica le gioie e dipana i dolori. Quell’amicizia che costituisce il motore della vita, quell’amicizia sincera . . che può anche trasformarsi in amore. Quanto accade nel destino di Irene dopo l’incontro con Federico, protagonista maschile nonché voce narrante.
Irene apparentemente sembra arrendersi alla vita, crucciata da quelle domande lasciate senza risposta, da quelle verità non espresse, da quelle incertezze che tormentano l’anima a tal punto da trascinarla a compiere un gesto estremo. Fortunatamente sventato. Perché l’essere sovrasta il non essere.
Eppure, esistono persone che, come Irene, hanno un dono. Infondere gioia negli altri anche quando la vita le ha messe a dura prova. Questa proiezione nell’ altro dà la forza di rimettersi in gioco.  I protagonisti principali sono accomunati dal dolore e dal senso di abbandono ma Federico, attraverso Irene, riesce a liberarsi dei fantasmi del passato e ad amare, mentre Irene riesce a riscoprire quella voglia di vivere che aveva sepolto nel suo “non sapere”.
L’amore c’è e sarà sempre presente nel libro, ma come detto prima è il sentimento dell’amicizia che regna sovrano. Quel sentimento che lega i protagonisti agli altri personaggi presenti nel testo. Tra cui il miglior amico di Federico, Stefano.
Momenti di condivisione piacevolmente descritti dalla Basile, frasi genuine che scandiscono quella gioiosità insita nella semplicità di piccoli gesti. Di quel mondo a portata di mano, se solo noi lo volessimo.
Condivisione vuol dire anche scoprire l’altro. Immergersi in una realtà completamente diversa per poi scoprire che il sorriso di un bambino africano o un abbraccio arricchiscono l’essere umano più di qualsiasi bene materiale. E sarà appunto l’esperienza del viaggio in Africa intrapreso da Federico a dar prova che il calore umano e il sostenersi a vicenda possono rendere un individuo forte e vincitore di numerose battaglie. Il viaggio in Africa prende spunto dall’esperienza realmente vissuta da Luca Palmiero, che in nome della sincera amicizia, ha ispirato la Basile “regalandole” pagine di diario, gelosamente raccolte. Offrendo, oltremodo ai lettori belle emozioni nonché momenti di riflessione.
“Irene non lo sa” è un libro che penetra negli animi infondendo gioia e forza d’animo a chi come la protagonista, non sa che c’è un posto al sole per tutti, e che molto spesso è proprio accanto a noi la felicità. Basta lasciare una porta aperta alla vita e non lasciarsi vivere.
                                                                                                           Corinne Bove
   



Irene non lo sa
pp.127
euro 12
autrice Paola Basile
editore : Spazio Creativo Edizioni.

“Da quel diario segreto” il nuovo libro di Aldo Di Mauro

Aldo Di Mauro

Confermando l’amore come ideale di vita, dimostrando come si può continuare  a scrivere di esso per un’intera esistenza, lo scrittore, filosofo e poeta Aldo Di Mauro, presenta, il suo nuovo libro “Da quel diario segreto” edito da Graus. Mantenendosi sulla soglia di quel mistero edipico che segna in disuguali misure tutti gli scrittori romantici, Di Mauro, con il suo scritto dove l’io narrante si traveste da donna, dissertando su di un amore parlato e vissuto attraverso le pagine di un diario, sembra modulare lievemente, con occhio languido e distaccata malinconia, i toni di una vita capace di colorarsi di languori sentimentali e scandire il tempo di rapporti ora teneramente bisbigliati ora voluttuosamente palesati. Dipanandosi nell’arco temporale di tre settimane e mezzo, sullo scenario animato dalle musiche di Chopin,  dai cioccolatini, dagli orologi alle pareti dai sadici tic tac, da mani caldi, da pianti notturni e da versi trasudanti di passione, “Da quel diario segreto”, sembra rappresentare una sorta di breviario dell’amore dove sia pure “la gioia ed il dolore hanno in comune il pianto” a vincere risultano essere comunque le scelte del proprio cuore. E così, dopo aver ulteriormente manifestato come le donne incidono nella sua vita e nella sua immaginazione di uomo e scrittore, Di Mauro anche con questa sua nuova fatica letteraria, tende a lasciare agire l’immaginazione stessa  nei confini di una sognante purezza. Evitando di finire tra quella schiera di scrittori che secondo Freud tradussero i sintomi dell’amore in nevrosi, per Di Mauro lo stesso sentimento, ancor di più se vissuto e visto dagli occhi di una  donna, rimane soprattutto sinonimo di emozione. Un’emozione, come recita il sottotitolo del libro che “avvolge, coinvolge e sconvolge” ancora una volta descritta dall’autore centellinando alla perfezione sospiri ed aggettivi.             
                                                                                                    Giuseppe Giorgio

lunedì 17 dicembre 2012

"Alla faccia della coerenza" ovvero: Storiella tibetana (meditate, gente, meditate!!) racconto breve di Mirea Stellato


MIREA FLAVIA STELLATO

C’era una volta un ragazzo che accompagnava le sue capre sull’altopiano del Tibet. Un giorno vide passare un monaco buddista e fu colpito da quella veste arancione e dal portamento dell’uomo. Lo fermò e gli chiese: “fratello, come posso diventare come te?” Dopo una pausa, il monaco rispose:  “non è con uno sguardo che si impara a fare il monaco.” “Ma io lo voglio ardentemente, sento un fuoco che brucia nel mio cuore”, rispose il ragazzo. “Bene” disse il monaco, “se hai tanta certezza, trafiggiti un dito sopra quei grossi rovi.” Il ragazzo allora si fece trapassare con violenza entrambe le mani e, lasciandole inchiodate, si rivolse al monaco: Va bene così?...  Portami con te!” Sorpreso, il monaco fasciò le mani al ragazzo e disse: “andiamo dal Lama.”
Il monastero era sul picco più alto ed il ragazzo fu sottoposto ad un’altra prova, fu lasciato nudo per tutta la notte nella neve. All’alba fu ricevuto dal Lama che gli disse: “abbiamo fatto chiamare tuo padre e inviato il tuo nome al Dalai Lama.” A mezzogiorno assieme ai monaci fece colazione con pane ammuffito e latte acido. Poi trascorse volontariamente le successive tre notti nudo nella neve. Giunse al convento il padre che implorò il ragazzo di tornare perché senza di lui non poteva continuare il commercio della lana. Il  ragazzo allora si cosparse di benzina e si diede fuoco, ma i monaci intervennero istantaneamente e le scottature risultarono minime. Tutti dissero in coro:  “ma allora è proprio una cosa seria! Giunse anche una delegazione del Dalai Lama che annunciò: “stiamo costruendo un nuovo monastero che affideremo a questo ragazzo che ha dimostrato tanta fede!” Il ragazzo passò un’altra settimana dormendo nella neve e mangiando schifezze e accorsero da tutto il Tibet in pellegrinaggio per vedere questo santo ragazzo. Ma una bella domenica nessuno lo trovò  più. Era sparito. Per dieci giorni lo cercarono per tutte le montagne del Tibet. Anche il padre era tornato al convento in cerca di notizie. Ad un tratto giunse una telefonata sul cellulare del Lama, era il ragazzo che diceva di essere andato sulle spiagge del Brasile a vendere il cocco.  Il Lama (che aveva origini romanesche) rispose:  “A ragazzì, mortacci tua!! Ci hai rotto li cojoni per due settimane,  tu e la tua vocazione seria e sicura… ma va a morì ammazzatooo!!”
Allora il padre (che aveva origini partenopee) prese il telefono e disse: “all’anema de meglie muort e chi t’è muort!!! Aggio perz  tutt e pecore pe’ chesta vocazione d’’o cazz!!  Ma pecché nun te si’ spezzate ‘e cosce?!!” E il bonzo che per primo aveva incontrato il ragazzo (e che aveva origini venete) non volle essere da meno; strappò il telefono dalle mani del padre e urlò: “ma va remengo ti e co te go ncontrà! Va’ in mona, coglionazzoooo!”
MORALE: non basta gettare un mattone a terra per essere certi di costruire un grattacielo.  P.S. I coglioni ingannano talmente bene se stessi… che riescono a trarre in inganno anche gli altri.

giovedì 22 novembre 2012

A spasso tra i “Misteri, segreti e storie insolite di Napoli" con il libro di Agnese Palumbo e Maurizio Ponticello


Prosegue l’affascinante viaggio nella Napoli dai misteriosi e seducenti volti con l’interessante lavoro “Misteri, segreti e storie insolite di Napoli.” A guidarci  in questo intrigante nonchè spettacolare percorso è ancora una volta lo scrittore Maurizio Ponticello, già autore di “Napoli, la città velata.”e “I misteri di Piedigrotta”affiancato dalla “gentile penna”della giornalista e scrittrice Agnese Palumbo della quale annoveriamo tra le sue importanti opere “101 donne che hanno fatto grande Napoli”. 
Il libro è stato “partorito” dagli autori con l’intento non solo di condurci nei meandri più oscuri e seducenti di una città intrisa di tradizioni, ma di svelarci le origini a cui fanno capo le innumerevoli credenze e dogmi che  spesso fanno dei napoletani un  popolo superstizioso. Divertente è stato scoprire, durante la lettura, la genesi del “curniciello”di Napoli. Il perché, da dove deriva il termine, di come la gente lo abbia assimilato nella propria cultura e nel quotidiano vivere. E non solo.Quale premonizione si cela dietro il numero 10 di Maradona? E le teste d’aglio per scacciare il malocchio? Tante sono le curiosità che troveranno risposta in questa voluminosa opera.
 E tralasciando quella che è la superstizione  più intrinseca e votata alla napoletaneità, ricordiamoci che la città partenopea è stata terra”battuta”da molte “genti”, contenitore, quindi, di mescolanze dove miti, leggende e storie fondendosi hanno dato a Napoli quello splendore e quell’aspetto ora di gentil donna ora di “malafemmena”. Ma pur sempre simbolo di nobiltà e civiltà.
Tante sono le storie e gli aneddoti raccontati dai due bravi autori che hanno toccato con mano l’essenza dei luoghi, svelando i misteri più reconditi e sotterranei dei siti alla corte di Partenope.
Ed è proprio sulle sponde di questo golfo incantevole che Napoli si lascia vivere ed esplorare in lungo e in largo, nella profondità del  suo grembo , lungo le strade tra statue velate, capuzzelle e tabernacoli.
Il libro che rivisitando detti, usanze, abitudini, s’innalza ai livelli di una vera e propria enciclopedia “iniziatica”, scava fino ad arrivare alle radici da cui hanno avuto luogo per esempio il “segreto di Pulcinella”, “’o scarpunciello d’’a Maronna” ed ancora spazia dai Geroglifici di Piazza del Gesù al Cristo voluto da Sansevero, soffermandosi in minuziose  descrizioni per soddisfare i più curiosi. Gradevole da leggere, il lavoro di Ponticello e Palumbo , edito dalla Newton Compton Editori arricchisce non solo la conoscenza ma rincuora gli  animi, ridando a Napoli , molto spesso “maltrattata”, quella dignità che merita e  che è innata nelle sue vesti , nelle sue radici e che resterà incontaminata nei secoli.                                                              
                                                                                     Corinne Bove
                                                                                                                         
                                                                               

domenica 8 luglio 2012

"Materiale altamente resistente" e la realtà metropolitana di Antonio Carannante


Dalle caratteristiche pressochè verghiane, le pagine del libro di Antonio Carannante risultano pulsanti di realismo, dove i personaggi si susseguono in quel famigerato girone di vincitori e vinti. “Materiale altamente resistente” è il titolo che l’autore ha scelto per i suoi racconti. Una resistenza intesa come continua lotta di sopravvivenza dove il grido del popolo deve, per poter trovare spazio, sovrastare quotidianamente un  sistema sociale sempre più alienante. È dai tempi del naturalismo che si studia il fenomeno ambientalistico e sociale come concausa dei comportamenti dell’individuo. Nascere in un quartiere difficile determinerebbe una sorte già tristemente segnata. Ma all’uomo è stata data una scelta, rassegnarsi al proprio destino o resistere per un cambiamento. Dalle storie narrate dall’autore emergono spaccati di realtà metropolitana, in cui sono evidenti quei problemi che qualsiasi lettore riconoscerebbe come attuali, perché si ritrova a viverli in prima persona o perché comunque avverte quella precarietà del vivere quotidiano e quel malessere scaturito da una incessante demotivazione. Quattro sono i racconti di Carannante. Ognuno di essi  raccontato per bocca dei protagonisti. L’utilizzo di espressioni dialettali e di un linguaggio semplice marcato dal gergo quotidiano e generazionale  rafforza maggiormente la crudezza della realtà in cui i personaggi si muovono. Tra le vicissitudini narrate non manca quello che a mio avviso ripropone l’attualissimo problema legato al mondo del lavoro. Nel racconto “non tradirti” due ricercatori italiani accettano di partecipare ad uno stage negli Usa, per loro giungerà anche una proposta di lavoro e l’inevitabile permanenza nel paese d’oltreoceano. Eppure, uno di loro non  soddisfatto, rifiuterà l’offerta per ritornare nella sua Napoli e dal suo amore che non ritroverà. La scelta di questo personaggio fa molto riflettere. In un paese che offre poco ai giovani in materia di lavoro, una scelta del genere potrebbe oggigiorno essere ritenuta folle. Ma Raffaele, il giovane ricercatore nutre ancora una speranza, illudersi che nonostante tutto, i suoi meriti potranno un giorno garantirgli un futuro brillante nella sua città. È come voler annulare quel detto “Nemo propheta in patria”. Perché andare via ? Prima di arrendersi bisognerebbe combattere. Un altro aspetto che emerge leggendo questo interessantissimo libro è la costante tempo. In ognuna delle storie sembra che il tempo, inteso in differenti accezioni, sia fondamentale nello scandire la vita dei personaggi. Nel testo “tutta questione di velocità” un ragazzino trascorre le proprie giornate nella monotonia di un contesto familiare malsano, dove ascolta il padre ripetergli continuamente “hai capito tu , guagliò? Impara che devi fottere per primo. È tutta questione di velocità” Questa affermazione riprende il concetto espresso dalla locuzione latina “Homo homini lupus”. Il mondo è una giungla, in cui l’egoismo prevale sul bene comune, per cui si vive con la preoccupazione che qualcuno possa sempre scavalcarci. E per evitare questo, ecco che nasce quella necessità di fregare il prossimo prima di restare fregati. Uno stile di vita, quindi, quello dettato dal padre del ragazzino che sogna un futuro diverso da quello che gli si prospetta. Il tempo è ancora più determinante nella vicenda di Vincenzoblù. Paura di crescere, di vivere,  l’illusione di  ingannare  il tempo che inevitabilmente passa. Cosa emergerà secondo i lettori? Un’affezione da sindrome di Peter Pan o una grottesca interpretazione del fanciullino pascoliano? Per finire, nel quarto racconto troviamo un gruppo di musicisti, una bellissima amicizia tradita dal “tempo”. Jemsè e Mario erano grandi amici, uniti da una fortissima passione: la musica. Loro obiettivo era incidere un disco. I due si dividono, Mario tenta la carriera da solista, la sua vita è assalita dalla preoccupazione di non riuscire in tempo, accelerare la vita per non soccombere, quindi. Ma alla fine solo la pazienza ripaga e Jemsè resiste per riprendere in mano i suoi sogni. Quanto al tempo mi viene in mente un passo tratto dal libro III del “De rerum natura” di Lucrezio  “Nessuno può avvertire il tempo di per sé: avulso dal moto e dalla placida quiete delle cose”. Materiale altamente resistente, con la prefazione di Angelo Petrella, edito da “Ad est dell’equatore”, non lascerà i lettori indifferenti. Leggere un libro che parla di  storie quotidiane lascia spesso  l’amaro in bocca, perché forse  più sentite e vissute. Le stesse toccano e inquietano a volte più di una storia di serial killer. Perché è una realtà che sentiamo appartenerci e ci fa male.

                                                                                  Corinne Bove




giovedì 21 giugno 2012

"Apocalissi 2012" Ventiquattro variazioni su una possibile Fine del Mondo

Cosa succederà il 21 dicembre 2012? Non è di  certo una data scelta a caso. Secondo il calendario Maya che temporalmente coincide , appunto, con la data del calendario gregoriano, il 21 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, avrebbe luogo il verificarsi di un evento universalmente risonante a tal punto da costituire una radicale svolta epocale o  addirittura decretare la fine del mondo. Una profezia infausta , quella dei Maya, che non ha fondamento scientifico, di origine pressochè incerta, dunque. Eppure, ha scatenato nella mente degli individui , curiosità  sulle probabili sorti dell’umanità, suscitando non poche preoccupazioni nei più “scaramantici”. E se tutto ciò fosse solo frutto di una perversa fantasia? Chi vivrà vedrà, insomma! Nel frattempo la notizia di un’eventuale fine del mondo ha offerto numerosi spunti a cineasti e scrittori di fantascienza per “speculare” e “divertirsi” nel riproporre eventi catastrofici di carattere planetario. Anche se, soprattutto negli ultimi tempi calamità, quali tsunami, terremoti, alluvioni, e perché no gravi crisi economiche che imperversano in alcuni paesi hanno il sapore amaro di un inevitabile cedimento. E in questo caso la realtà supera la fantasia. Apocalissi 2012 è il titolo della interessante antologia curata da Gianfranco de Turris, pubblicata da Bietti edizioni. Un titolo non a caso messo al plurale, in quanto raccoglie ventiquattro  variazioni su una probabile fine del mondo. Ventiquattro, infatti, sono gli scrittori, provenienti da ogni angolo del paese, che hanno contribuito con i loro racconti ad interpretare i segni profetici dei Maya. Le interpretazioni hanno preso le forme più disparate toccando temi quali la politica, la religione e quant’altro. Sensazioni strettamente personali o corali, quelle degli autori ovviamente, condizionate anche dagli avvenimenti che  riguardano la nostra era,  hanno ulteriormente dato spessore ai personaggi dei racconti, che attraverso un’accorta analisi introspettiva  lasciano trasparire rassegnazione, pentimento, o necessità di compiere l’ultimo atto prima della fine. Interessante, peraltro, è l’intervento di Gianfranco de Turris in “Mille e non più mille” dove esplicita brillantemente quella che viene definita la “sindrome millenaristica”. Infatti, la presunta fine del mondo non è un fenomeno legato all’anno 2000, ma ha radici ben più antiche che risalgono , appunto all’anno mille, con una differenza  sostanzialmente “tecnologica-mediatica” ma che infine da un punto di vista psicologico non è cambiata di molto. Gli autori degli originalissimi racconti, vanno a mio parere citati tutti, ecco i nomi: A. Bellomi, M. Bzzarri, T. Bologna, F. Cardini, M. Cimmino, P. Di Orazio, M. Farneti, C. Formenti, G. Giorello, F.Grasso, G.Leoni, G.O.Longo, G. Magnarapa, M. Marino, G. Nerozzi, E. Passaro, B. Pezone, M. Ponticello, P. Prosperi, E. Rulli, A.Selmi,D. Simonelli, A. Tentori, N. Verde. A cura di Gianfranco de Turris.

                                                                                                          Corinne Bove
                                                                                                    

giovedì 14 giugno 2012

Notte in Arabia. Vita e storia di Gianmarco Bellini, il ragazzo che voleva volare

Volare era sempre stato il suo sogno. Sin da ragazzo, aveva le idee chiare sul proprio futuro: diventare pilota. E pilota, lo è diventato. Una passione che si è tramutata in mestiere, dove l’impegno era innanzitutto una missione d’amore. Come quella per la propria patria, l’Italia, difesa oltremodo, comunque e dovunque, anche sotto torture.  Dedicato alla storia di un eroe dell’Aeronautica italiana, il Colonnello Gianmarco Bellini, “Notte in Arabia” scritto da Francesco Di Domenico ed edito dalla Boopen, si presenta ai lettori come racconto biografico. Una sorta di diario che, oltre a svelare i retroscena legati alla missione della guerra in Iraq del ‘91, dà spazio ai sentimenti, alle aspirazioni e alle delusioni di un Bellini uomo prima ancora che soldato. Narrato, per volontà dell’autore, in prima persona così da rendere i fatti più vividi, attraverso i ricordi del Colonnello stesso, “Notte in Arabia” emoziona, commuove, coinvolge. Tutto ha inizio dalla prestigiosa Accademia Aeronautica di Pozzuoli, dove il  sogno del Colonnello  stava per diventare realtà. Ricordi legati ai compagni di corso s’insinuavano tra i suoi primi passi in volo, tra rigido addestramento, briefing e l’emozione indescrivibile del decollo, da quando, appunto,  cominciava quel rapporto d’amore col velivolo.
Ma cosa successe quella famosa notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991? Quando l’aereo del Maggiore Gianmarco Bellini  e del Capitano Maurizio Cocciolone fu abbattuto dalla contraerea durante la missione denominata "Desert Storm" della prima Guerra del Golfo? La verità   trova riscontro nelle pagine di “Notte in Arabia” scaturite dalla decisione del pilota Bellini di affidare allo scrittore  Francesco Di Domenico il compito di raccontare quell’episodio affinchè potesse essere condiviso da  tutti, come storia collettiva della nostra nazione e non solo personale, proprio come afferma il protagonista. I quarantasette giorni di prigionia che fecero seguito alla cattura, da parte degli iracheni, dell’unico equipaggio italiano che proseguì la missione, sono minuziosamente descritti. Non sono risparmiate le atrocità subite nel carcere di Abu-Grahib. Eppure, l’allora Maggiore Gianmarco Bellini, medaglia d’argento al valore militare, non fu riconosciuto dallo Stato come prigioniero di guerra. Ma nonostante l’amarezza, il Colonnello ha continuato a servire l’Arma. E ad essere fedele alle istituzioni, come solo un uomo nutrito di onestà intellettuale e buoni sentimenti è in grado di fare. Come recita un detto, non a caso, arabo: “Fai un lavoro che ami e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita”. Un elogio va speso anche per la copertina del libro che riporta l’opera “A night in Mesopotamia”dello scultore e pittore iracheno Ahmed Al Safi, vincitore nel 2000 del Premio “Ismail Fattah Al Turk”.

                                                                             Corinne Bove


Notte in Arabia
Vita e storia di Gianmarco Bellini, il ragazzo che voleva volare
(Bellini & Cocciolone Iraq ’91)
Editore Boopen

giovedì 7 giugno 2012

Con "Il Caffè delle muse", Marina Mineo e Marilisa Borsacchi s'incontrano alla Treves

Dalla collaborazione tra il gruppo di promozione culturale “Il Caffè delle Muse” della Penisola Sorrentina e la libreria Treves di Piazza Plebiscito a Napoli è nata la coinvolgente presentazione di Marina Mineo e Marilisa Borsacchi, due artiste che si sono incontrate la prima volta proprio ad una manifestazione alla Treves, dove hanno maturato l’idea di una esibizione combinata delle loro espressioni artistiche. Le autrici interpretano il proprio sensibile vissuto emozionale attraverso due diverse ma ugualmente intense modalità di espressione: la poesia per la Mineo, autrice della raccolta “Deragliamento”, la pittura per la Borsacchi, che ha esposto tra gli scaffali gremiti di libri della storica Treves alcuni interessanti dipinti, tra cui uno ispirato proprio ai versi di una lirica inedita della poetessa, che la stessa Borsacchi, anche attrice, ha declamato con passione. L’universo immaginifico di queste due splendide artiste è venuto via via alla luce tra le brillanti domande di Carlo Alfaro, col quale hanno discusso di significato di poesia e pittura, rapporto tra dolore e arte, amore per la città di Napoli, condizione della donna oggi, problematiche esistenziali, social network e altro. Tra una domanda e l’altra, una scorsa ai quadri di Marilisa Borsacchi pieni di suggestioni cromatiche, gioia e dolore tradotti in immagini, e la lettura delle liriche, curata da Marianna Scarpato, ed eseguite dalla stessa insieme con Marianna D'Angiolo e Arcangelo Pastore,  più il “regalo” dell’inedito letto dalla grande attrice teatrale Liliana Palermo. Interessante il commento del giornalista-scrittore e critico  Giuseppe Giorgio sul valore dell’arte come “resistenza”. Appuntamento per i fans della Borsacchi sul web, dove presto la pittrice-attrice nella popolare soap-opera trasmessa via internet “Passioni senza fine” di Giuseppe Cossentino darà voce al nuovo personaggio di Viola De Sanctis. E per Marina e Marilisa una promessa dal gruppo del Caffè delle muse: “presto vi vogliamo anche a Sorrento!”


Un momento della presentazione organizzata da "Il caffè delle muse" alla libreria Treves 


venerdì 25 maggio 2012

Santamaria e Boccia sulle tracce dei "Figli della Luna"

“Licantropi. I figli della luna” è questo il titolo del libro, pubblicato dalla Gremese editore,  che porta le  firme di Simonetta Santamaria, affermata scrittrice del genere horror e ghotic thriller e di Luigi Boccia, scrittore, regista e sceneggiatore.
Un testo, quello dei due apprezzati scrittori, che propone ai lettori un “viaggio” affascinante nel fantastico mondo dei licantropi. Partendo, infatti, dall’aspetto mitologico, elemento portante da cui numerosi popoli antichi hanno attinto credenze e tradizioni, gli artefici del coinvolgente lavoro intendono fornire un cospicuo e dettagliato trattato sul fenomeno della licantropia.
Sfatando miti e false leggende legate alla figura del lupo mannaro sino ad arrivare al suo indiscusso successo sul grande schermo, Santamaria e Boccia sono attenti nel fornire ogni tipo di informazione legata ai figli della luna. Licantropofili e non potranno approfondire le loro conoscenze e trovare innumerevoli e inedite notizie relative a questi esseri antropomorfi. Sebbene il mito del lupo sia legato all’immaginario europeo, gli scrittori dedicano un intero capitolo alle metamorfosi animali avvenute negli altri continenti. Percorrendo un rapido giro del mondo, i lettori potranno conoscere i “cugini mannari”così come simpaticamente li definiscono gli stessi autori.
Le bellissime illustrazioni a colori e le numerose fonti storiche e documentaristiche rendono quest’opera una vera e propria enciclopedia sul licantropismo che, in forma epidemica, nel corso degli anni, si è imposto come protagonista nel campo della letteratura, della fumettistica sino a sfondare sotto i riflettori dei set delle più potenti case cinematografiche.   
                                                                                                         Corinne Bove
                                                                                                                      
Casa Editrice: Gremese
Pagine:192
Prezzo: 19.50

lunedì 21 maggio 2012

"Rapsodia degli amori perduti":quando la passione conduce diritto alla verità

Un passato che permane prepotentemente ancorato al presente, rivissuto nei luoghi, nella mente e nel cuore di Mara, affermata giornalista e protagonista del nuovo libro di Gabriella Di Luzio “Rapsodia degli amori perduti” edito da Galassia arte. Ricordi che sanno d’amaro tormentano l’animo della ormai non più giovanissima donna ancora alla ricerca di celate verità.  Mara è una donna di successo, disinibita, che ha goduto e gode della vita, una vita  costruita a propria immagine e somiglianza, così come lei l’aveva sempre  desiderata. Un’esistenza condotta tra i trastulli di una Milano avanguardista ed una seducente Napoli. Amori consumati, persi e rubati tra paradisiaci angoli del mondo. Una vita perfetta all’apparenza, un’opera d’arte come direbbe il caro D’Annunzio. Ma è solo oltrepassando le barriere di quell’ ostentato lusso, minuziosamente descritto, che si scorge la vera Mara. La donna presente in ognuna di noi. Tenera amante ma peccaminosa a letto. Sentimentale e perversa “Lilith” all’occorrenza. Mara è l’essenza femminile che coniuga amore allo stato puro e sesso travolgente. Leggendo il libro risulta difficile non identificarsi nel personaggio o, quanto meno, coglierne delle affinità, la brava autrice s’improvvisa lettrice dell’anima, un’anima denudata che compenetra nel cuore e nell’io delle donne. Un testo che emoziona, che commuove quello della Di Luzio. Nonostante, l’amore sia l’elemento imperante, il romanzo non risulta essere una banale narrazione di storie sentimentali, ma di converso si evince un intenso lavoro d’introspezione. Anche i personaggi maschili giocano un ruolo importante, emergono personalità diverse tra loro. Gli uomini di Mara sono affascinanti, benestanti, voluttuosi ma anche teneramente fragili. Dall’amato imprenditore Carlo, alla tormentata storia col giornalista Cesare sino a giungere all’ acerbo amore consumato col giovane Luca, la bella giornalista ha dovuto più volte colmare dei vuoti, metabolizzare le perdite, morire ad ogni abbandono e rinascere a nuove emozioni. Tre sono stati i suoi grandi amori, quante le sue aspettative di donna felice, quanti i dispiaceri che  porta dentro, rivissuti in ogni momento, in ogni attimo e istante della sua esistenza. Tra flash back e nostalgici ricordi ,Carlo, Cesare e Luca sono fantasmi costantemente presenti nel quotidiano vivere, come ferite non cicatrizzate che si alternano in una sequenzialità atemporale e disordinata. E Mara li ricorda tutti, con amarezza. Le vicende amorose che la protagonista sovente rimembra diventano espressione di una scrittura matura ed espressiva e a tratti audace.
Frequenti sono i richiami alle notti folli dove un raffinato ed intrigante erotismo, abilmente descritto dall’autrice, mette a nudo un’incontenibile passione che va ben oltre la materialità del piacere carnale. Mara si nutre di ricordi  ma custodisce dentro di sé anche un segreto inconfessabile. Ma nel momento in cui prevale in lei la rassegnazione ad un eluttabile destino, la vita, per pura casualità o per giustizia divina le riserva una piacevole sorpresa. Una famosa citazione del poeta libanese Gibran Kahlil Gibran  recita “Quando ho piantato il dolore nel campo della pazienza, mi ha dato il frutto della felicità.”Adesso Mara potrà raccogliere il suo frutto più bello, potrà accogliere l’amore più grande, eterno ed ingiudicabile. E non solo... Anche l’amore della porta accanto. La storia di Mara e dei suoi amori è la storia di tutti, qualsiasi lettore si troverà a rivivere frammenti della propria vita, gioie, dolori, stati d’animo nonché comportamenti. Il libro non è autobiografico come puntualizza la scrittrice ma biografico, e in quanto tale attinge dalla vita reale. Corredato dalla prefazione di Sandra Milo, il lavoro della Di Luzio vuole essere un accorato appello alla vita dove la sofferenza è solo un intervallo che prelude a nuove emozioni.
Corinne Bove
La scrittrice Gabriellla Di Luzio 

lunedì 14 maggio 2012

Gabriella di Luzio presenta la sua "Rapsodia degli amori perduti"

Tutto è pronto per mercoledì 16 maggio alle ore 17.00, quando nella storica Antisala dei Baroni del Maschio Angioino a Napoli, la scrittrice Gabriella Di Luzio, presenterà il suo nuovo libro “Rapsodia degli amori perduti” edito da Galassia Arte. Con l’autrice, a parlare del suo lavoro ci saranno gli scrittori e giornalisti  Pietro Gargano e Giuseppe Giorgio insieme all’editore Andrea Mucciolo. Ancora, a leggere alcune pagine dell’intrigante romanzo interverrà l’attrice Silvana Vajo. In arrivo in tutte le librerie con la prefazione di Sandra Milo, il libro narra dei ricordi, alla ricerca del tempo perduto e ritrovato di Mara. Tra l’estate 2010 e l’estate 2011, entro cui si svolge la vicenda, sull’onda di ricordi e con la ricomparsa di fantasmi dal passato si ricompone il mosaico di tutta la sua vita.  Una vita intensa e intensamente vissuta tra golfi incantati e sale consiliari che ruota intorno a un terribile segreto e a tre grandi amori: il primo, quello della giovinezza, con un imprenditore; il secondo quello della maturità, con un famoso giornalista finanziario; il terzo, all’età di 52 anni, con un ragazzo molto più giovane. Dopo la tragica morte di lui in un incidente, nel cuore della donna sembra non esserci più posto per nessun altro. Ma il destino trama alla sue spalle,e il quarto amore irrompe nella sua vita proprio quando ha smesso di aspettarlo. Da Napoli a New York, da Postano a Chicago, da Milano a Tokyo, da Firenze a Parigi, la storia di Mara si dipana tra le più belle città del mondo. E’ scritta con l’io narrante, ma non è autobiografica, anche se la protagonista è attrice e giornalista come l’autrice. Piuttosto è biografica, perché tutto quello che racconta, opportunamente manipolato, è liberamente tratto da vicende realmente accadute. “Gabriella Di Luzio - si legge nella prefazione della Milo- attrice intelligente che trasferisce la sua emotività e la sua sensibilità nella scrittura in quest'ultimo romanzo Rapsodia degli amori perduti, racconta il viaggio denso di palpiti e trepidazione di una donna che vive, com' ella stessa dice, sull'ottovolante, lasciandosi generosamente sorprendere dall'amore e da qualunque offerta di emozioni le faccia la vita, senza rifiutarla se asseconda la sua indole, ovviamente pagandone lo scotto...il libro di Gabriella Di Luzio è la cavalcata affascinante di una donna dentro e fuori se stessa, e la riprova puntuale che dalle batoste ci si può rialzare, per rifondare la propria vita e proiettarsi in avanti con nuove energie...”. Attrice cinematografica e teatrale e napoletana che vive, sia pure con la sua città nel cuore, da molti anni a Roma, Gabriella Di Luzio, nel cinema è stata diretta da Fellini (La città delle donne e Ginger e Fred) Liliana Cavani (La pelle) Giancarlo Giannini  (Ternosecco) Pasquale Festa Campanile (Gegè Bellavita) Tornatore (Malèna) Ha recitato con Alberto Sordi ( Sono un fenomeno paranormale) Nino D’Angelo (Giuro che ti amo e La ragazza del metrò) ed ha condotto numerosi programmi televisivi. Nel 2010 ha pubblicato il libro “La morte ha bussato alla mia porta. Io mi sono barricata e non ho aperto” edito da Graus Editore. Apprezzata per le sue caratteristiche nonché ricercata presenza negli ambienti artistici romani e napoletani, con questo suo secondo libro si riconferma scrittrice intrigante ed agile capace di spaziare abilmente e passionalmente tra il dramma, l’amore ed un concetto di vita senza freni, inibizioni, rinunce e compromessi.

g.g.

Aldo Di Mauro ed il suo "Elogio della malaparola"

di Giuseppe Giorgio
NAPOLI- Quasi in segno di spassosa disputa con coloro che il compianto Angelo Manna nell’introduzione de “L’inferno della poesia napoletana” definì “censori, preti o laici, SS della cosiddetta decenza pubblica, crociati dell’anticazzismo, apologisti del lagnoso e detrattori dell’autentico naturalismo”, il poeta e scrittore Aldo Di Mauro presenta per i Tipi di Tullio Pironti Editore il suo “Elogio della malaparola”. Un elegante e breve florilegio di detti e versi, per così dire scollacciati e peccaminosi, quello dell’autore, umorista e filosofo napoletano che marciando contro il bigottismo intellettuale ed avviandosi deciso sui sentieri di una morale libera da falsi ed ingannevoli pregiudizi, proietta il lettore in un mondo disinibito ed amante della naturalezza umana. Ed è così che raccogliendo insieme una divertente serie di motti e poesie inneggianti ad una “malaparola” colta e nobilissima ed ancora, ricorrendo per la sua provocatoria dissertazione alle trasgressive divagazioni in versi dei grandi luminari della poesia napoletana come il Marchese di Caccavone, Di Giacomo e Russo e dei più moderni verseggiatori come Manna e De Falco, il disinvolto Di Mauro presenta la sua personale analisi filologica sulla coloritura letteraria di un “verbo” altrimenti arido e privo di emozioni. Rinnegando la volgarità gratuita ed esaltando quelle espressioni capaci, tra filosofia ed umorismo di affondare le proprie radici nell’identità culturale di una Napoli senza tempo, l’autore del singolare “elogio” compie un avventuroso viaggio tra quelle terminologie che mettendo da parte prosopopee ed inutili pudori, meglio di tutte riescono a liberare il freudiano Io di ogni individuo. Completando il tutto con due sue focose “ballate” non prima di aver sufficientemente invitato il lettore a non scandalizzarsi, Di Mauro, con il  piccolo lavoro letterario dedicato alla “malaparola” ed al suo appropriato uso, sembra proporre una sorta di breviario e manuale d’istruzione per un modo di vivere ed esprimersi libero da preconcetti e tabù. Esaltando a modo suo l’eleganza e l’aristocrazia della “cattiva” parola napoletana e producendo un’occasione di lettura bella e rassicurante,  proprio come ribadisce l’attore Peppe Barra nella prefazione del testo, l’autore Di Mauro si erge a paladino della lingua partenopea difendendone la luminosità dai tanti pericolosi apologisti e da tutti quegli inquisitori mossi da pseudo-pudicismo. Con il suo “Elogio della malaparola”, insomma, Di Mauro si fa interprete di un dogma popolare teso alla liberalizzazione dell’anima e dell’espressività verbale. Per tutti in meno di cinquanta pagine, compresa la copertina con il disegno di Lello Esposito, un’antologia di coloriti pensieri ed il trionfo di una parola non più “infernale” , da bisbigliare in segreto ma portatrice di goduria e salute per quanti nella vita alle false apparenze di facciata preferiscono sempre la sostanza.  
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