venerdì 18 luglio 2014

“Il giornalismo nel romanzo postmoderno” secondo Franco Zangrilli con il suo libro "L'inferno dell'informazione"

E’ per esaminare la relazione che corre tra la letteratura ed il giornalismo che “L'inferno dell'informazione”, il libro dello scrittore e critico Franco Zangrilli pubblicato dalla Homo Scrivens per la collana "Arte" , diventa una sorta di prezioso strumento. Tant’è che sottotitolato “Il giornalismo nel romanzo postmoderno” il lavoro del professore d’italiano e di letteratura comparata alla City University of New York, mediante un’attenta analisi di alcuni testi di narrativa contemporanea sul tema del giornalismo, traccia un approfondito quadro sulla società dei mass media osservando le sue influenze sulla cosiddetta  "narrativa mediatica" intesa come contenitore di arte, cultura e informazione. Nello scandagliare il complesso rapporto tra letteratura ( ossia  tutto ciò che è scritto a livello colto a fini artistici, in prosa o in versi, e che è oggetto di sistemazione storica e analisi critica) ed il giornalismo (ovvero il complesso delle attività volte a ricercare, elaborare, commentare, pubblicare o diffondere notizie attraverso i differenti mezzi di comunicazione) “L’inferno dell’informazione” dell’autorevole saggista nato a Frosinone e trasferitosi a New York, affronta quella realtà dei mass media, che per effetto dell’evoluzione tecnologica e dell’era internet, produce ad una velocità sempre più impressionante un’infinità di informazioni fino a condizionare enormemente la letteratura postmoderna. Mediante un’interessante, profonda  e dinamica analisi delle opere narrative di numerosi scrittori contemporanei, Zangrillo con il suo libro disegna le linee dei principi fondamentali della poetica postmoderna soffermandosi sulla sua coesistenza con gli altri linguaggi, stili e mezzi espressivi. E così, osservando un giornalismo trasformato in vena d’ispirazione e creatività per molti narratori postmoderni sempre più dipendenti dalla realtà mediatica, l’autore dimostra, altresì, come gli stessi restino profondamente condizionati dal mondo dell’informazione e della pubblicità da sempre orientato verso la commercializzazione e l’amplificazione di tutti gli aspetti dell’ esistenza umana. Portando alla mente la moltitudine  di notizie che quotidianamente bombardano e sconvolgono i cittadini con crudeltà di ogni genere e le parole di Papa Wojtyla, che in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 1994, nel suo messaggio  sottolineò come “la televisione può anche danneggiare la vita familiare: diffondendo valori e modelli di comportamento falsati e degradanti, mandando in onda pornografia e immagini di brutale violenza; inculcando il relativismo morale e lo scetticismo religioso; diffondendo resoconti distorti o informazioni manipolate sui fatti ed i problemi di attualità, trasmettendo pubblicità profittatrice, affidata ai più bassi istinti; esaltando false visioni della vita che ostacolano l’attuazione del reciproco rispetto, della giustizia e della pace”, il libro di Zangrilli va oltre la semplice analisi delle diverse entità mediatiche all’interno della narrativa post moderna, lasciando trasparire sia la voglia di evidenziare le nuove tendenze dei media sempre più protesi verso la manipolazione dei fatti di cronaca e la mistificazione della verità, sia  la volontà di sottolineare quella condizione di disgregazione di una società sempre più vittima di una corruzione intesa come complicanza di una crisi dell’informazione. Ed è in questo contesto che giungendo come un paladino, il giornalista, testimone dell’esperienza di crescita collettiva, rischiando di sprofondare in un rapporto di solitudine con se stesso e il niente, che blocca le capacità personali, fino a modificare il modo di concepire la realtà e la stessa vita, sembra intraprendere un viaggio di esplorazione che lo conduce inesorabilmente sui tortuosi sentieri del nostro oggi e del nostro ieri. In conclusione, “L’inferno dell’informazione” nel tenere bene presente che il controllo dei mass-media può costituire uno degli strumenti più efficaci per influenzare la letteratura post moderna e livellare l’umanità rendendola omogenea e facilmente manipolabile, si trasforma in un invito per cominciare ad agire in maniera precisa contro quelle immagini, quei commenti e soprattutto quelle ideologie che tendono a controllare i processi mentali ed il senso critico delle masse e ad annullare in esse la capacità di pensare.

 Francesca Giorgio





                   

Le diciassette storie di Barbara Goti per "Il tempo è un'invenzione" il libro della narratrice livornese edito da Homo Scrivens

E’ pensando ai suoi aforismi “Sono vivo e questo è sempre il punto di partenza ad ogni età” e “Non mi piacciono le persone fragili. Come vetro si spaccano, e i frammenti tagliano”. Ovvero a quelle intriganti massime che esprimono in forma sintetica tutto il pensiero morale ed il sapere pratico della scrittrice Barbara Goti, che si può fare la conoscenza con i personaggi del suo libro “Il tempo è un’invenzione”. Edito da “Homo Scrivens” per la collana “La stanza dello scrittore”, il lavoro dell’apprezzata narratrice livornese propone diciassette storie, raccontate in prima persona. Diciassette momenti di vita che partendo dal delicato e complesso adattamento di una adolescente ed attraversando a livello introspettivo tutte le età dell’esistenza umana, giungono alla matura consapevolezza della terza età. E così infondendo nell’animo del lettore una sorta di sensazione d’attesa capace di pervadere ogni cosa pur rimanendo sospesa in una dimensione avulsa dal tempo, il libro della Goti s’inoltra nella conoscenza di diciassette bozzetti di vita ognuno dei quali si pone in modo diverso nei confronti della realtà. Contemplando tutti i temi della concretezza, dell’ effettività, della materialità, della tangibilità e della verità umana, le realtà espresse dalla autrice risultano spesso difficili, pur mantenendo per il modo con cui sono narrate un andamento dal forte impatto emozionale. Perfettamente in equilibrio tra lo scanzonato e l’ irriverente ed ancora, tra lo spassoso  ed il doloroso, “Il tempo è un’invenzione” trasmette a chi legge un incontenibile impulso di curiosità riferito a quegli stessi personaggi che popolano le pagine e che risultano da subito da analizzare, da amare oppure odiare. In barba alla superstizione, i diciassette personaggi dalle diverse età, sesso e condizioni sociali che compongono le altrettante storie del libro, finiscono per trasformarsi  in vari esempi di drammi umani, i quali,  tendono ad esemplificare l'evoluzione dell'uomo sulla terra. Partendo dalle parole di Sigmund Freud "C'è una storia dietro ogni persona. C'è una ragione per cui loro sono quel che sono. Loro non sono così perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali…", Barbara Goti, dalla quindicenne di nome Melania, dapprima obesa e poi anoressica, protagonista della prima storia, al vecchio hippy innamorato della vita, della musica e dell'energia, artefice dell’ultimo racconto, offre un libro ricco di suggestioni e sfumature umane sempre animato da una sottile ironia dai tratti amari. Carico di compassione e di disperata ricerca d’identità, “Il tempo è un’invenzione” riesce ad infondere nel lettore, una lunga serie di emozioni psicologiche e sensoriali  tracciando il doloroso percorso di chi sembra rincorrere la via della redenzione e di una pace interiore capace di guarire la propria anima squarciata. Lasciando trasparire da personaggi come Piddu il ritardato; Caterina l’amante; Dario l’artista; Gerardo il tossicodipendente e Margherita la cinquantottenne desiderosa di vita,  tutta l’umanità ed il patimento di chi perseguitato dalle sventure terrene e fisiche  implora una via di scampo, il libro riesce a portare abilmente tra le sue pagine tutte le sfumature di chi cela dietro le apparenze un continuo e devastante martirio interiore. Perfetto quadro di tragedie sospese sull’antico contrasto tra la purezza e la corruzione, l’ umanità e l’ egoismo, la vita e la morte, “Il tempo è un’invenzione”, ha la valenza di un testo che, a proposito ancora dell’autrice, conferma la profondità e la bellezza di un forma di scrittura colta e pregna di significati in grado poco alla volta di illuminare le oscurità di esistenze dalle inconfessabili verità. Come prede di crudeli giochi del destino, i sofferenti e misteriosi personaggi immaginati dalla Goti, partendo dal loro disperato bisogno d’amore danno forma ad una narrazione satirica e surreale, struggente e delirante che travolge la mente di chi nel leggere osserva il calvario ed il sacrificio di esseri  spaccati a metà tra corpo e anima.
Francesca Giorgio 

Claudio Calveri tra inverosimile e credibile con il suo libro "La città distratta" per la Homo Scrivens

Frutto dell’estro e dell’intrigante immaginazione dello scrittore e cultural planner Claudio Calveri, il romanzo “La città distratta”, edito da Homo Scrivens per la collana “Dieci”, porta nuovamente in primo piano la prolifica penna del vincitore del Premio Troisi per la scrittura umoristica e di altri premi letterari, autore stavolta di un’avvincente storia  tutta imperniata sulla scelta originale ed anticonformista di un ispettore di polizia chiamato Angelo De Marinis. Lo stesso che, dopo la difficile decisione di emigrare nel nome della carriera,  pensa di fare ritorno nella città natale, dalla quale, invece, tutti intendono disperatamente fuggire. Una volta ritornato in quegli stessi ambienti a lui familiari, De Marinis, tuttavia, si ritrova subito proiettato nell’indagine per l’ omicidio di un ambiguo e malfidato personaggio della malavita conosciuto negli ambienti con il soprannome di “Rattuso”, ammazzato  misteriosamente nel porto di Napoli. E così, dopo aver pubblicato per Comix e altri editori libri di narrativa e saggistica e dopo aver curato il progetto editoriale Le città visibili”, con il patrocinio della Commissione Nazionale Italiana “Unesco” promuovendo la candidatura di Napoli a Città della Letteratura “Unesco”, il napoletano Claudio Calveri, con il suo racconto, aggirandosi alla sua maniera nella città dei “segreti di Pulcinella” offre vita ad un giallo-non giallo nel quale l’enigma in cerca di soluzione non è come normalmente si possa aspettare relativo al nome del colpevole, bensì inerente a quel segreto sconcio ed impronunciabile di una famiglia allargata in maniera ben lontana dalle convenzioni e dagli schemi della cosiddetta società civile. Grazie alle vicissitudini di un prete omosessuale, un falso professore, un marinaio russo, una nave fantasma, un’avvenente collaboratrice familiare polacca e tanti altri personaggi ai confini della normalità e del giusto, tutti impegnati nel celare le propria verità a polizia e criminali, ne “La città distratta”  a prendere corpo è la narrazione di “ChiarOscuro” uno scrittore mulatto, apprendista pizzaiuolo, attraverso la quale tutto l’assurdo e l’inverosimile sembra confondersi con il credibile e l’attendibile. Per i lettori “una storia dedicata a tutti quelli che, quotidianamente, combattono contro il Meglio, acerrimo nemico del Bene” ed un modo per osservare, attraverso le schegge di uno specchio rotto dal destino, le terrene peripezie di soggetti ottenebrati dall’enigma di occulte personalità, inconsapevoli artefici di  un  quadro di vita, ambiguo, desolato, insanguinato e beffardo.
Francesca Giorgio