domenica 8 luglio 2012

"Materiale altamente resistente" e la realtà metropolitana di Antonio Carannante


Dalle caratteristiche pressochè verghiane, le pagine del libro di Antonio Carannante risultano pulsanti di realismo, dove i personaggi si susseguono in quel famigerato girone di vincitori e vinti. “Materiale altamente resistente” è il titolo che l’autore ha scelto per i suoi racconti. Una resistenza intesa come continua lotta di sopravvivenza dove il grido del popolo deve, per poter trovare spazio, sovrastare quotidianamente un  sistema sociale sempre più alienante. È dai tempi del naturalismo che si studia il fenomeno ambientalistico e sociale come concausa dei comportamenti dell’individuo. Nascere in un quartiere difficile determinerebbe una sorte già tristemente segnata. Ma all’uomo è stata data una scelta, rassegnarsi al proprio destino o resistere per un cambiamento. Dalle storie narrate dall’autore emergono spaccati di realtà metropolitana, in cui sono evidenti quei problemi che qualsiasi lettore riconoscerebbe come attuali, perché si ritrova a viverli in prima persona o perché comunque avverte quella precarietà del vivere quotidiano e quel malessere scaturito da una incessante demotivazione. Quattro sono i racconti di Carannante. Ognuno di essi  raccontato per bocca dei protagonisti. L’utilizzo di espressioni dialettali e di un linguaggio semplice marcato dal gergo quotidiano e generazionale  rafforza maggiormente la crudezza della realtà in cui i personaggi si muovono. Tra le vicissitudini narrate non manca quello che a mio avviso ripropone l’attualissimo problema legato al mondo del lavoro. Nel racconto “non tradirti” due ricercatori italiani accettano di partecipare ad uno stage negli Usa, per loro giungerà anche una proposta di lavoro e l’inevitabile permanenza nel paese d’oltreoceano. Eppure, uno di loro non  soddisfatto, rifiuterà l’offerta per ritornare nella sua Napoli e dal suo amore che non ritroverà. La scelta di questo personaggio fa molto riflettere. In un paese che offre poco ai giovani in materia di lavoro, una scelta del genere potrebbe oggigiorno essere ritenuta folle. Ma Raffaele, il giovane ricercatore nutre ancora una speranza, illudersi che nonostante tutto, i suoi meriti potranno un giorno garantirgli un futuro brillante nella sua città. È come voler annulare quel detto “Nemo propheta in patria”. Perché andare via ? Prima di arrendersi bisognerebbe combattere. Un altro aspetto che emerge leggendo questo interessantissimo libro è la costante tempo. In ognuna delle storie sembra che il tempo, inteso in differenti accezioni, sia fondamentale nello scandire la vita dei personaggi. Nel testo “tutta questione di velocità” un ragazzino trascorre le proprie giornate nella monotonia di un contesto familiare malsano, dove ascolta il padre ripetergli continuamente “hai capito tu , guagliò? Impara che devi fottere per primo. È tutta questione di velocità” Questa affermazione riprende il concetto espresso dalla locuzione latina “Homo homini lupus”. Il mondo è una giungla, in cui l’egoismo prevale sul bene comune, per cui si vive con la preoccupazione che qualcuno possa sempre scavalcarci. E per evitare questo, ecco che nasce quella necessità di fregare il prossimo prima di restare fregati. Uno stile di vita, quindi, quello dettato dal padre del ragazzino che sogna un futuro diverso da quello che gli si prospetta. Il tempo è ancora più determinante nella vicenda di Vincenzoblù. Paura di crescere, di vivere,  l’illusione di  ingannare  il tempo che inevitabilmente passa. Cosa emergerà secondo i lettori? Un’affezione da sindrome di Peter Pan o una grottesca interpretazione del fanciullino pascoliano? Per finire, nel quarto racconto troviamo un gruppo di musicisti, una bellissima amicizia tradita dal “tempo”. Jemsè e Mario erano grandi amici, uniti da una fortissima passione: la musica. Loro obiettivo era incidere un disco. I due si dividono, Mario tenta la carriera da solista, la sua vita è assalita dalla preoccupazione di non riuscire in tempo, accelerare la vita per non soccombere, quindi. Ma alla fine solo la pazienza ripaga e Jemsè resiste per riprendere in mano i suoi sogni. Quanto al tempo mi viene in mente un passo tratto dal libro III del “De rerum natura” di Lucrezio  “Nessuno può avvertire il tempo di per sé: avulso dal moto e dalla placida quiete delle cose”. Materiale altamente resistente, con la prefazione di Angelo Petrella, edito da “Ad est dell’equatore”, non lascerà i lettori indifferenti. Leggere un libro che parla di  storie quotidiane lascia spesso  l’amaro in bocca, perché forse  più sentite e vissute. Le stesse toccano e inquietano a volte più di una storia di serial killer. Perché è una realtà che sentiamo appartenerci e ci fa male.

                                                                                  Corinne Bove




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